Napoli, 27 gennaio 2006 – E’ il Giorno della Memoria e in tutt’Italia si ricorda l’Olocausto degli ebrei. Da sei anni il 27 gennaio la comunità nazionale ritorna ad occuparsi di uno dei più grandi orrori della storia dell’uomo. Nel 1945 proprio il 27 gennaio entrando nel campo di concentramento di Auschwitz le truppe vincitrici rivelarono le atrocità del campo polacco. A settembre ho visitato un altro campo di concentramento nazista, quello tedesco di Dachau. In una area enorme per dodici anni le famigerate SS hanno concentrato oltre 200.000 europei, molti per motivi politici. Oltre 43.000 di loro sono morti. Le truppe americane liberarono il campo solo il 29 aprile del 1945. Il campo di Dachau è stato conservato e ricostruito sulla base delle testimonianze dei sopravvissuti. Entrando si legge ancora la scritta “Il lavoro rende liberi”, proprio all’ingresso. Sulla destra c’è un edificio centrale che ospitava la cucina, il bagno, il guardaroba e le officine. Alle sue spalle il bunker, la prigione del lager, con celle piccole e umide. Davanti il grande edificio centrale c’era il piazzale dell’appello in cui i detenuti due volte al giorno dovevano rimanere immobili aspettando il proprio turno. In linea retta dopo il piazzale si dispiega una vasta area che ospitava le 34 baracche suddivise in due eguali file. Ai due lati esterni delle baracche c’erano i servizi per il campo come la mensa, l’infermeria ed altro ancora. Una di queste baracche serviva solo per alloggiare i detenuti ecclesiastici. Altre divennero famose per raccogliere i detenuti su cui venivano compiuti degli esperimenti da parte di medici nazisti. Di baracche autentiche non c’è traccia, nel 1964 furono distrutte perchè ormai cadenti. Dalla parte opposta del campo l’area si chiudeva con una baracca speciale, quella che ospitava il bordello a favore delle SS. Ora la stessa terra ospita tre luoghi religiosi costruiti dalle tre maggiori religioni monoteistiche. Il campo era recintato da alta erba, fossi con reticolato elettrico e da un alto muro. In tal modo sette torrette erano sufficienti per impedire la fuga dei detenuti. All’esterno ampie zolle destinate all’orto ed alle serre alla cui crescita dovevano provvedere col lavoro forzato i detenuti. Mi ha particolarmente colpito la baracca che ospitava la camera a gas. Qui i detenuti venivano spinti, nudi, credendo che fosse il giorno della doccia. Subito dopo i corpi venivano bruciati nei forni, mentre gli abiti sterilizzati e riutilizzati. Entrare in quelle stanze e vedere gli strumenti che hanno provocato indicibile dolore umano strazia il cuore e lascia un segno. Nel brevissimo viaggio di ritorno a Monaco di Baviera pensavo all’aberrante ciclo produttivo nazista.