Ancora in alto mare la riforma delle misure a sostegno del settore editoriale. In Italia le copie vendute nelle edicole negli ultimi cinque anni sono diminuite del 22% mentre gli introiti pubblicitari sono calati del 50% dal 2007. Le 220 testate direttamente sovvenzionate si spartiscono quest’anno 95 milioni. Nel 2014 la previsione di bilancio pluriennale dello Stato è di 55 milioni. E’ vero che la legge 103/2012 riduce irregolarità, illeciti e vere e proprie truffe ma le risorse disponibili sono esigue per rinnovare il settore. Anche nel Regno Unito, in Germania, in Francia e in tanti altri paesi europei la stampa viene foraggiata dalle casse pubbliche per assicurare il diritto al pluralismo dell’informazione ma nel Belpaese l’assenza storica di editori puri ha ritardato la modernizzazione del settore. La maggior parte degli editori italiani, con core business nell’industria e nel cemento, erano focalizzati ad orientare la pubblica opinione più che a cercare bilanci in pareggio. Complici numerosi giornalisti dipendenti che si sono chiusi nel recinto dei diritti e dei privilegi. Con il risultato che oggi le principali testate quali il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore sono strangolati da strutturali perdite gestionali e da insopportabili debiti bancari. Il ritardo degli editori italiani rispetto al veloce mutamento tecnologico è poi definitivamente esploso per la perdurante crisi economica che non consente nuovi rivoli di denaro pubblico.
Sono gli stessi editori che di fatto hanno ritardato l’avvio del lavoro della commissione sull’Equo compenso nel lavoro giornalistico. La commissione prevista dalla legge 233/2012 è composta da un rappresentante per il ministero del lavoro, uno per il ministero dello sviluppo economico, uno per l’Ordine dei giornalisti, uno per l’Inpgi, uno per il sindacato dei giornalisti e uno per il sindacato degli editori. Questi ultimi ritenevano però di dover nominare ben cinque propri rappresentanti per ciascuna delle aree dell’attività giornalistica, quotidiani, periodici, online, agenzie di stampa e emittenti radiotelevisivi. Il dipartimento degli affari giuridici della Presidenza del Consiglio ha ribadito la nomina di un unico rappresentante e solo il 13 giugno la Commissione era finalmente al completo. Sei mesi per costituire un tavolo di lavoro.
Anche sulla tutela del diritto d’autore i ritardi sono cronici, tanto più che la sua disciplina risale all’epoca pre-repubblicana. Mentre gli editori francesi e belgi si sono accordati economicamente e giuridicamente con le maggiori piattaforme che utilizzano le news nei propri motori di ricerca e in Germania è intervenuto lo Stato con un apposito provvedimento legislativo che obbliga Google ed altri a versare royalties agli editori in cambio della pubblicazione dei contenuti, in Italia ancora non si conosce la strada che si vuol intraprendere. Di recente l’Agicom ha riaperto per la terza volta il dossier sul diritto d’autore online senza significative novità rispetto i due infruttuosi lavori precedenti.
Il 6 agosto Giovanni Legnini, sottosegretario con delega all’Editoria, ha pubblicato sul suo sito un accordo con gli editori che prevede 11 punti d’intesa, sommariamente indicati, che sorvolano su tutte le problematiche senza illuminare alcun punto. E sullo sfondo l’incertezza quotidiana sulla prosecuzione dell’attuale governo.