Roma – Il famigerato rapporto banche-imprese è l’unico responsabile del mancato accordo tra la cordata di imprenditori meridionali e Fintecna, proprietaria per conto dello Stato della società di navigazione Tirrenia. Tutto era pronto per la stipula del contratto anche la data, il 15 settembre, ma all’ultimo Fintecna ha velocizzato i tempi richiedendo alla controparte decisioni ad horas, impossibili per chi fa impresa nel Belpaese. Sarebbe stato richiesto a Mediterranea Holding di Lauro, Tomasos e della Regione Sicilia, la firma all’accordo prima ancora del placet delle 53 banche che vantano crediti nei confronti della Tirrenia. Il debito totale della decotta azienda statale non è esile, si aggira sui 520 milioni di euro garantiti da un asset della flotta che a malapena arriva a 400 milioni di euro. Al rifiuto delle aziende di credito di sostenere il nuovo piano industriale la cordata degli imprenditori meridionali avrebbe perso ben 10 milioni di euro consegnati con fideiussione. In virtù della tempistica delle banche italiane e della pletora delle aziende creditizie coinvolte la mission non era di poco conto. Il governo a questo punto ha decretato l’amministrazione straordinaria, viatico per la Marzano bis che mira a salvare le imprese in forte crisi. A breve sarà indetta una nuova gara, forse separando la Siremar che cura le rotte con la Sicilia, e forse si realizzerà il modello della bad company a cui saranno affidati i debiti bancari. Nel contempo l’Unione Europea attende entro fine settembre la privatizzazione societaria per proseguire ad autorizzare i copiosi contributi pubblici concessi per le rotte sociali. L’epilogo sarebbe stato ben diverso se il debito fosse stato concentrato in poche grandi banche. Ma forse è stata questa la leva utilizzata dai detrattori dell’acquisizione che sponsorizzano cordate diverse, semmai con cuore e cervello fuori dal Sud, mercato di riferimento del gruppo Tirrenia.
pubblicato sul quotidiano on line “Affari Italiani”