Non è mai accaduto prima d’ora che un video su YouTube di ben trenta minuti ricevesse oltre 86 milioni di visualizzazioni in appena 25 giorni. Su Vimeo, l’altro sito concorrente, in 39 giorni il video ha ricevuto 18 milioni di visualizzazioni. Siamo già ben oltre 100 milioni di click per Kony 2012, il video virale girato dal 33enne cineasta Jason Russel che chiede di catturare entro quest’anno l’ugandese Joseph Rao Kony, a capo dell’Esercito di Resistenza del Signore – LRA – che ambiva al potere nel paese centroafricano e che per diversi lustri ha rapito bambini per farne soldati e bambine per schiavizzarle.
Tecnicamente il video utilizza una narrazione tipica da fiaba utilizzando i codici emozionali peculiari della relazione padre-figlio, che da tanti decenni viene adoperata dai pubblicitari per promuovere i prodotti aziendali. Stavolta però l’emozione è al servizio di una battaglia di giustizia e viene da chiedersi se sia corretto semplificare temi politici, economici e antropologici complessi al fine della mobilitazione in rete. Raccontare poche cose, semplificare all’estremo, a scapito della verità, per spingere alla “call to action”, alla chiamata all’azione attraverso le nuove armi digitali, quali facebook, twitter, youtube e vimeo. La strategia di Invisible Children, l’associazione non-profit con sede in California che ha prodotto il video e che gestisce la campagna di cattura di Kony, ha previsto anche manifestazioni e sit-in dei suoi sostenitori statunitensi, ma la viralità del video inserito nella rete appare molto ben studiata, pianificata e realizzata.
Le prime critiche alla campagna Kony 2012, ben seguita dalla stampa e dai blogger statunitensi ed inglesi, hanno naturalmente riguardato proprio l’associazione che a giugno 2011 vantava donazioni per oltre 3,5 milioni di euro. Accuse che Jason Russel e gli altri amministratori hanno subito stemperato con la revisione dei conti e la certificazione di bilancio da parte di una cinquantennale società contabile con sede a San Diego e specializzata anche nel non-profit. In tal modo si è allentata l’attenzione anche su numerosi conti sociali vincolati nelle destinazioni.
Non si placano invece le contestazioni all’ideatore della campagna, al cineasta Jason Rusel, che fa spesso parlare di sé e per ultimo l’agenzia AFP ne riporta la notizia del suo accompagnamento coatto in ospedale all’alba del 15 marzo dopo aver vagato seminudo per le strade di San Diego.
Le più feroci critiche al video, alla campagna e all’associazione si rivolgono però alla sua utilità. Joseph Rao Kony è già stato inserito sin dal 2005 tra i criminali ricercati dalla Corte Internazionale di giustizia dell’Aja e il suo movimento – LRA – viene ritenuto dall’agenzia statunitense per la sicurezza, la Cia, già fuori dal territorio ugandese, probabilmente nei confinanti villaggi kenioti, congolesi o sudanesi. D’altra parte anche la meno informata Farnesina, il nostro ministero degli affari esteri, ritiene che la milizia di Kony non sia più presente in Uganda da ormai cinque anni. Eppure Jason Rusel, Invisible Children e il loro movimento d’opinione spingono il presidente Obama nell’ottobre del 2011 ad inviare nel paese centroafricano ben cento soldati appartenenti alla truppe di combattimento attrezzate. Forze speciali che si dedicano ad addestrare i soldati ugandesi e a cercare, attraverso l’impiego di appropriate apparecchiature tecnologiche, il criminale Joseph Kony stroncando il movimento LRA che dall’11 Settembre è nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Sempre più commentatori statunitensi, tra i quali spicca l’autorevole rivista Foreign Affair, ritengono che la campagna Kony 2012 spinga la politica estera Usa verso decisioni inutilmente interventiste in Africa. Anche il corrispondente dall’Africa dell’inglese Bbc, Andrew Harding, considera la campagna una forma di neo colonialismo in quanto non preme sul governo locale di Kampala, bensì su quello statunitense. I più feroci critici sottolineano poi come l’invio dei marines serva più a presidiare i nuovi giacimenti di petrolio e le conosciute miniere d’oro e d’uranio che non a ricercare criminali internazionali. Permangono insomma tutte le perplessità sull’invio di cento soldati da parte dell’amministrazione democratica di Barack Obama.
Anche in sede Onu, Radhika Coomaraskwamy, la rappresentante speciale del segretario generale per i bambini e i conflitti armati ha espresso dubbi sull’opportunità di una azione militare e sulla efficacia delle donazioni affluite ad Invisible Children che, viceversa, avrebbero potuto rafforzare i programmi Onu sul reinserimento dei bambini soldati, ugandesi, somali, etiopi, della Sierra Leone, nella società civile. Ma questa è una reazione tipica dei funzionari Onu che disincentivano spesso i singoli movimenti d’opinione e le autonome associazioni a favore di una unica canalizzazione burocratica verso la non sempre cristallina amministrazione Onu.
In Italia la campagna Kony 2012 ha ricevuto nei media cartacei quello spazio contingentato che la politica estera ha sempre ottenuto nelle scelte editoriali. Angelo Aquaro, sulle pagine di Repubblica ha offerto scenari e piani di letture più ampi rispetto all’esposizione aprioristicamente critica di Marta Serafini dalle colonne del Corriere della Sera. Senza considerare il servizio televisivo di oltre otto minuti mandato in onda il 24 marzo dalle Iene in cui la campagna kony 2012 è stata liquidata con malcelata superficialità.
Di sicuro Invisible Children ha il merito di aver sapientemente incanalato la formazione del consenso a fini politici sulle piattaforme dei social network, ma quello che è più importante è verificare nel corso dei prossimi mesi come abbia inciso sulla dignità, libertà e sicurezza del popolo ugandese.
pubblicato sul quotidiano online ”Affari Italiani”