Roma, 11 marzo 2008 – A un mese dal voto elettorale nazionale i politici si dividono sulle cure per rilanciare i salari. Il tutto dopo che l’Ocse, come ogni anno, ha diffuso il suo rapporto sui salari netti annui. L’Italia è al 23° posto sui trenta Paesi considerati con 19.861 dollari di salario medio, pari a circa 13.000 euro. Il nostro Paese ogni anno scende sempre più nella classifica, ma solo ora siamo in campagna elettorale. Dunque fra tre o cinque anni quando saremo nuovamente nella competizione elettorale probabilmente la graduatoria, stilata negli ovattati uffici parigini, non conterrà più il Belpaese: uscito fuori per salari troppo bassi. Oltre il trentesimo posto, insomma. Per il momento ed in virtù della esigenza di comunicazione politica ogni partito indica le sue terapie per risollevare un salario inferiore di oltre 6.500 dollari il valore medio europeo. Peggio di noi i portoghesi, i turchi e i Paesi dell’Est Europa provenienti dall’esperienza sovietica. In Italia cresce anche il cuneo fiscale, cioè la differenza tra lo stipendio lordo e netto, che va, a titolo d’esempio, tra il 34 % di una famiglia con un solo reddito e due figli, al 46 % di un lavoratore single. I lavoratori dipendenti italiani vivono dunque con circa mille euro al mese ma qualche anno la definizione “milleuristi” serviva per indicare solo i lavoratori precari con contratti flessibili a tempo limitato. A questo punto la precarizzazione dei salariati è assai diffusa e coinvolge anche i lavoratori a tempo indeterminato, quelli che un tempo, forse meno di sette anni fa, erano considerati i “fortunati”. Tutti i soggetti sociali si sono espressi o si esprimeranno su questi dati Ocse, dalla Cei ai sindacati, dalla Confindustria ai politici. All’indomani delle elezioni però servirà eliminare gli sprechi della pubblica amministrazione, introdurre nello Stato una procedura di licenziamento più facile per coloro che non hanno voglia di lavorare, riordinare la contrattazione nazionale e aziendale, ridurre la fiscalità sui salari, accrescere insomma i salari reali per stimolarne la produttività. Tutti noi che visitiamo le piccole e medie imprese italiane, attive nei vari settori, verifichiamo situazioni di intensa utilizzazione della forza lavoro e non sempre agganciare l’aumento del salario all’incremento della produttività è umanamente possibile. Tralaltro la vergognosa posizione dell’Italia nell’ultima graduatoria sugli incidenti sul lavoro lo dimostra esplicitamente. Insomma il panorama imprenditoriale italiano è troppo diversificato per consentire una ricetta univoca. Ma di sicuro il rilancio dell’economia nazionale parte anche da una distribuzione del reddito più equa.