Roma – Si acuiscono i rapporti tra le Regioni e lo Stato centrale sui tagli ai trasferimenti monetari. Al di là delle polemiche sulle ragioni del federalismo e sulle frizioni personali in seno al governo i dati economici del Belpaese sono allarmanti. Da numerosi mesi le sentinelle economiche del nostro paese stanno lanciando segnali di allerta. Tra le più significative quella di Fabrizio Saccomanni, direttore generale della Banca d’Italia, che il 4 giugno a Potenza ha parlato di un “rigore finanziario…inevitabile…dato l’elevato livello del nostro debito pubblico che nel 2009 ha superato il 115 per cento del Pil”. Per Saccomanni il rigore “va accompagnato da un’azione volta ad aumentare l’efficienza nel settore pubblico e a recuperare la competitività della nostra economia”. Insomma occorre rendere più serio il sistema pubblico, ivi incluso quella parte gestita dalla Regioni, e nello stesso momento spingere gli imprenditori a proporre processi e/o prodotti più competitivi sul mercato internazionale. Una sinergia di azioni non certo facile soprattutto dopo un biennio, il 2008-09, in cui il Pil è crollato del 6,5% e le imprese hanno ridotto gli investimenti del 16%. In precedenza, il 31 maggio, il governatore della banca d’Italia Mario Draghi, nelle sue tradizionali Considerazioni finali, già riteneva “inevitabili” le misure di rientro del disavanzo anche se cosciente che “le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell’economia italiana”. A Via Nazionale sono dunque tutti concordi nel sostenere le restrizioni di bilancio sul fronte delle spese di funzionamento delle amministrazioni pubbliche. La maggior parte dei presidenti delle giunte regionali sono invece in completo disaccordo invocando la necessità di salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini. I presidenti delle regioni appaiono contrari sia al “forte vincolo di bilancio che responsabilizza i centri di spesa”, sia a quelle “informazioni chiare e confrontabili sulla qualità dei servizi erogati dai diversi enti che consentono ai cittadini di valutare l’azione degli amministratori”. Da una parte i governatori che vogliono perpetuare politiche anacronistiche, dall’altra la più solida istituzione finanziaria del Belpaese che cerca, ancora una volta, di tracciare le linee guida del sistema Italia. Un rapporto di forza che non trova la luce dei riflettori ma solo quella della tensione.