L’estate 2011 sarà ricordata nella storia del Paese in quanto i governanti italiani sono finalmente usciti dal loro dorato giardino per percorrere la via europea della competitività. Se prosegue questo processo avviato con la manovra d’inizio luglio di 47,9 miliardi di euro nel prossimo triennio e rafforzato ora ad agosto dalla manovra bis di 45,5 miliardi di euro nel prossimo biennio è facile prevedere il ritorno in patria di molti talenti emigrati. Sulla velocità di accelerazione del processo di europeizzazione del Belpaese si misura infatti il nostro futuro.
Consideriamo per esempio gli effetti dell’europeizzazione del modello del welfare. Numerosi italiani presumono oggi di vivere in un sistema pubblico di protezione sociale, in realtà lo stivale è diviso tra sufficienti tassi di efficienza al centro-nord e sacche di cattivo funzionamento al sud. La legge delega contenuta nella manovra del 6 luglio trasferisce sempre più poteri alle regioni e al mondo del non-profit lasciando all’Inps il ruolo di coordinatore centrale. Il federalismo riduce la filiera governanti-governati e, come accade in Europa, premia elettoralmente solo i meritevoli. In più permette il pieno decollo anche in Italia del cosiddetto terzo settore.
Così anche nel mondo della politica, i tagli effettuati nella manovra bis allineano i costi del sistema politico italiano ai maggiori competitor europei comparabili per numero di abitanti. Si riducono in primis gli enti territoriali locali, il numero dei parlamentari e dei consiglieri e si comprimono i benefit.
Dal punto di vista delle entrate pubbliche le misure predisposte dalla manovra bis appaiono invece molto emergenziali e crescono le attese per una sistematica riforma fiscale.
L’esecutivo Berlusconi, come ha ammesso lo stesso ministro Giulio Tremonti, è sicuramente responsabile dei ritardi nelle azioni di governo. Da settembre del 2008, cioè dall’inizio della crisi economica mondiale, fino ad oggi aveva annunciato numerosi provvedimenti per rafforzare l’Italia e tenerla lontana dalle turbolenze dei mercati finanziari. Viceversa nella settimana appena trascorsa siamo finiti al centro di una bufera finanziaria e soltanto con l’aiuto della Banca centrale europea ne siamo rapidamente usciti. Ora la Bce ha però portato il conto da pagare. Salato, soprattutto durante l’anno 2012, ma necessario. Se però raggiungiamo il pareggio di bilancio alla fine del 2013 il debito pubblico, oggi pari a 1.900 miliardi di euro, si ridurrà strutturalmente.
C’è solo da sperare a questo punto che l’Italia non rimanga da sola tra i big a richiedere più decisioni congiunte tra i diciassette paesi dell’area Euro e questo lo vedremo già martedì prossimo con l’incontro franco-tedesco. La costruzione di una governance europea richiede solide leadership al momento difficilmente individuabili. Uomini, ad esempio, come Jacques Delors che alla fine degli anni ’90 preannunciava misure come gli Eurobond che se fossero state realizzate avrebbero arginato le turbolenze di questi giorni. La vera crisi italiana ed europea probabilmente è l’attuale assenza di statisti di valore che possano autorevolmente guidare i Paesi Euro. Altro che nefaste previsioni dei bookmaker anglosassoni. Sull’Euro si costruiranno le future politiche di sviluppo e di crescita. Con buona pace anche dei protestatari di professione “made in Italy” che vorrebbero continuare a curare solo i propri giardini ultra protetti.
pubblicato sul quotidiano online ”Affari Italiani”