Quanti candidati inseriranno la difesa del diritto d’autore tra i principali temi della prossima campagna elettorale per le europee? Quanti ne parleranno? Dilemmi molto utili per comprendere sia il valore percepito dell’Europa nel nostro paese e tra i suoi cittadini sia per valutare la qualità dell’apporto degli europarlamentari che da maggio in poi ci rappresenteranno. Due giorni fa Antonio Tajani, ventiquattro anni di esperienza nel parlamento europeo, da gennaio 2017 ne è anche presidente, durante una conversazione con Antonio Rossitto di Panorama chiede all’Italia di non improvvisare sulle scelte europee e sollecita “presenza, strategia e funzionari capaci”. Lui ha chiaramente idee molto chiare sul ruolo e sulla funzione delle istituzioni dell’Unione Europea che ora come nuovo vicepresidente di Forza Italia, una delle forze in campo nella prossima tornata elettorale, metteremo anche alla prova nella selezione dei candidati per il prossimo europarlamento. Fino ad ora la pattuglia dei 73 parlamentari italiani a Strasburgo ha mostrato una Italia divisa e incerta sulle principali scelte rivelando delegati poco efficaci nella tutela dell’interesse nazionale anche a causa del frequente alternarsi delle forze di governo che rende difficile qualsiasi elaborazione strategica di lungo periodo.
Vedremo quanti candidati si soffermeranno sui temi della regolamentazione del copyright, sulla tutela economica di chi produce contenuti di qualità – stampa, cinema, musica, letteratura, arti figurative ed altro – utilizzati finora gratuitamente dalle piattaforme digitali quali, ad esempio, Facebook, Google, Microsoft e Amazon. Una battaglia importante in una società digitale in cui i contenuti, sempre più disintermediati, acquistano rinnovata centralità. Al vuoto normativo europeo la Commissione di Bruxelles nel 2016 ha proposto una direttiva per l’ “European digital single market” che dopo esser stata per lungo tempo al vaglio della commissione giuridica è pervenuta in aula la cui votazione due giorni fa è stata rinviata a settembre. Ma la potente azione lobbistica del big tech statunitensi lascia credere che la riforma europea del copyright permarrà a lungo divenendo materia da campagna elettorale. Difficilmente i colossi della Rete riconosceranno una remunerazione alle opere artistiche, ai link, agli snippet – estratto di due righe che segue il link pubblicato sui motori di ricerca – utilizzati nelle proprio piattaforme per ragioni di profitto. Le stesse big tech statunitensi che si oppongono alla riforma europea del diritto d’autore vanno poi nei paradisi fiscali per non pagare le tasse.
Le potenziali della Rete sono innegabili ma altrettanto sicure sono le continue violazioni nella tutela del lavoro intellettuale che richiedono di essere sanate. In una società sempre più immateriale e digitale la regolamentazione di base diverrà centrale nell’assetto sociale e nella distribuzione del reddito nelle prossime generazioni. Inoltre in un contesto europeo in cui i valori ideologici dello scontro politico sono svaniti anche il ruolo dei gruppi dell’europarlamento appare inutile ed obsoleto, richiedendo ai futuri eurodeputati una flessibilità operativa ed una trasversalità politica più congrua con gli impellenti interessi nazionali ed europei.